Le prime fotografie realizzate da Zangheri
A partire dalla prima serie di immagini prodotte negli anni ’20 del Novecento, Pietro Zangheri si affiderà a strumenti fotografici sempre più aggiornati ed efficaci, nell’intenzione di registrare nel modo più preciso, fedele ed esaustivo, aspetti e situazioni utili allo studio del territorio romagnolo. In base alle testimonianze del figlio Sergio, sappiamo che Pietro Zangheri iniziò a fotografare da giovane, prima con una semplice macchina “a cassetta” poi, verso la metà degli anni ’20, con una fotocamera Goerz professionale. Zangheri portava con se sia un treppiede che una dotazione di chassis precaricati con negativi in bianco e nero su lastra di vetro. Occorre sottolineare che la tecnica fotografica di allora imponeva una procedura lunga e complessa, ben lontana dalla velocità operativa consentita dall’odierna tecnologia.
Per mettere a punto un’inquadratura precisa e per regolare la messa a fuoco occorreva fissare la macchina sul treppiede, aprire il diaframma e l’otturatore dell’obbiettivo, poi osservare l’immagine proiettata. Regolata l’inquadratura e la messa a fuoco, occorreva misurare tramite un esposimetro l’illuminazione della scena da riprendere e selezionare sull’otturatoree il tempo di eposizione, regolare l’apertura del diaframma, inserire lo chassis contenendo il negativo, togliere l’antina (o “volet”) che lo proteggeva dalla luce ed infine far scattare l’otturatore. Non erano ammessi errori di esposizione o di messa a fuoco ed ancor meno movimenti della macchina durante la ripresa. Inoltre l’insieme di fotocameta, treppiede e chassis, costituiva un ingombro notevole, soprattutto per la necessità di trasportare il tutto in località difficilmente raggiungibili.
Le Stereoscopie a colori ed in bianco e nero
A partire dagli anni ’30 Zangheri abbandona quindi l’ingombrante Goerz per dedicarsi alla fotografia stereoscopica, acquistando la Heidoscop, prodotta fin dal 1921 dalla Franke & Heidecke, azienda tedesca divenuta famosa per la successiva realizzazione della Rolleiflex.
La Heidoscop era dotata di due obiettivi Zeiss Tessar e di un terzo obiettivo per l’inquadratura e la messa a fuoco di precisione, posto tra i due dedicati alla ripresa. In questo modo era possibile produrre immagini stereoscopiche, più efficaci e realistiche perché in grado di registrare anche la terza dimensione. L’immagine era prodotta, salvo rare eccezioni, in formato quadrato, un concepito come formato di compromesso tra orizzontale e verticale, poiché la tecnica di ripresa stereoscopica non poteva consentire un posizionamento verticale della fotocamera. La visione delle lastre in tre dimensioni era inoltre consentito dall’utilizzo di uno Stereoscopio, uno strumento in grado di riprodurre la tridimensionalità, simulando la vista umana. La Heidoscop consentì a Zangheri, verso la fine degli anni ’30 di utilizzare, mediante un dorso porta-pellicola appositamente progettato, la nuova Agfacolor (Agfacolor Neu), pellicola per diapositive a colori. Con questo materiale produsse numerose foto stereoscopiche “a colori naturali”, le quali si distinguevano dagli scatti in bianco e nero colorati artificialmente, mediante viraggi o altri procedimenti affini. In un articolo del luglio del 1939 in un mensile di fotografia Pietro Zangheri illustra nei dettagli il progetto per la realizzazione del dorso porta-pellicole, poi realizzato da una ditta forlivese (Balestra) specializzata in meccanica di precisione, sottolineando come tramite la stereoscopia “s’arrivi alla riproduzione del vero con tutte le sue dimensioni spaziali, (…) la documentazione iconografica raggiunge la perfezione, l’esatta e fedele riproduzione della realtà“.
Di seguito è possibile vedere alcuni esempi di anaglifi. La tecnica è la medisima che utilizzò Pietro Zangheri, per pubblicare alcuni dei pripri scatti all’interno dei volumi della “Romagna fitogeografica”: le immagini sono da osservare tramite occhiali 3D anaglifi rosso/ciano (si raccomanda di non utilizzare tali occhiali per prolungati periodi di tempo).